Autore:SCORZELLI EUGENIO
N. - M. :Buenos Aires, 1890 - Napoli, 1958
Tecnica:Olio su tavola
Misure:17 x 26 cm
Classificazione: Paesaggi, Oli, Figurativi, Antichi, Classici
Nato a Buenos Aires il 15 aprile 1890 da padre napoletano e madre lombarda, Eugenio Scorzelli risiede a Napoli. Studiò all’Accademia napoletana, allievo di Michele Cammarano, di Domenico Morelli, e di Filippo Panni. Dai Maestri ottenne quegli insegnamenti e quelle esperienze che sono legittimi, insegnamenti ed esperienze che non abbandonò mai del tutto, nemmeno quando le circostanze lo portarono a vivere lungamente a Londra ed a Parigi. Tuttavia, altri climi, altre esperienze, l’ammirazione per Giuseppe De Nittis, modificarono nel vaglio quotidiano il colore e le forme della nativa tradizione ed egli, pur rimanendo aderente all’ultimo ottocento napoletano, arricchì di nuova linfa la sua pittura. Ritratti, quadri di figura, paesaggi, scene popolari, vedute di città, compendiano la produzione di questo pittore, che per oltre quarant’anni, ha dipinto con dignità le sue opere. I suoi dipinti sono custoditi in Gallerie e Musei a Londra, Parigi, Bruxelles e in numerose raccolte private in Italia e all’estero. Da molti anni insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Emporium del 1929 accennava ad alcuni lavori da lui presentati alla Mostra Campana di quell’anno che mostravano mano sicura in una solidissima impostazione e fra essi il “Ritratto di mio figlio” e “Donne che lavorano“.
Lo conobbi un giorno, parecchi anni fa, passeggiando in via Toledo. Me lo presentò suo figlio, Lello, un giovane e valoroso scultore, che ha già fatto molta strada. Figura di gentiluomo dall’eloquio forbito. Mi parlò di sé, dei suoi viaggi, delle sue inquietudini. Non aveva nulla dell’artista romantico o «bohemien» che si affida, per distinguersi, alla barba incolta ed alla trasandatezza. Delicato ed elegante, rassomigliava alla sua pittura. Come tanti altri suoi colleghi — tra cui Siviero, Viti, Galante, Ricchizzi — fu allievo di Michele Cammarano, ma la sua indole di uomo colto e raffinato lo indusse ad avvicinarsi, per ragioni di affinità spirituali, all’arte di De Nittis, di cui subì l’influsso.
Spirito inquieto, ricercatore meticoloso, pittore elegiaco, proclive alle realizzazioni poetiche, come ne possono dare testimonianza i suoi paesaggi dalle intonazioni delicate e certi suoi «interni» originali, ove si avverte quasi sempre un clima di sentimentali nostalgie, e le allusioni ad un racconto intimo, quasi autobiografico, ma di gusto e di essenza metafisica.
Quei pochi suoi dipinti che ho avuto agio di osservare qua e là nelle varie mostre, sono stati sufficienti per formarmi un’idea esatta della sua arte, che rifuggiva dai verismi e dagli aneddotismi, e che mirò sempre ad un ideale di poesia.
Silvio Benco, parlando di lui, scriveva: «Tratta il paesaggio con un suo gesto aristocratico, che gli fa amare le intonazioni sobrie, discrete, la pittura netta, spaziata bene, sillabata limpidamente e senza forzare la voce anche nelle piccole cose».
Qualche anno prima della sua morte, visitando una mostra collettiva di pittori napoletani alla Palazzina pompeiana nella villa comunale di Napoli, mi colpì profondamente un suo paesaggio, non ricordo bene se di Parigi o di Londra, nel quale mi fu facile avvertire il suo sentimento poetico e la sua non comune delicatezza espressiva.
Il giorno del nostro primo — ed ultimo — incontro, mi disse: — Venite a trovarmi allo studio. Vi mostrerò alcuni miei «studi».