Antonio Fomez, Natura morta

Autore:FOMEZ ANTONIO

N. - M. :Portici, 1937 - 2024

Tecnica:Tecnica mista su carta fotografica

Misure:40 x 30 cm

Anno:1982

Classificazione: Nature morte, Figurativi, Altre Tecniche, Moderni

Note Critico - Biografiche

Antonio Fomez

Portici, 1937 – 2024

 

 

Natura morta

Foto del dipinto del pittore Antonio Fomez (1937-2024) raffigurante una cassetta di frutta, reinterpretazione pop del particolare di una natura morta dipinta da Giovan Battista Ruoppolo (1629-1693). Tecnica mista su carta fotografica 40x30 cm del 1982.
Tecnica mista su carta fotografica 40×30 cm del 1982

 

L’opera, firmata “FOMEZ” in basso a destra e autenticata con data e firma a tergo “12/82, Antonio Fomez”, è pubblicata a pieno foglio a pagina 51 del catalogo “Antonio Fomez mors naturae”, Edizioni Napoli, 1982.

 

 

ANTONIO FOMEZ: MORS NATURAE    

La citazione è nella modalità corrente; gli artisti giovani ne fanno grande abuso. Le peregrinazioni attraverso i linguaggi dell’arte sono, molto spesso, citazioni già citate, fino a divenire sublimazione del linguaggio medesimo, come nel caso dei giovani artisti americani, i quali citano quello già obsoleto del cinema. La “maniera” di usare come “pura realtà”, il campo delle immagini che provengono da una manufazione appartenente ad un passato remoto o prossimo, non indica una disponibilità verso la rievocazione della storia, ma un eclettico modo di essere artisti del proprio tempo. Le origini che dal “dejà vu” si trasportano lungo le periferie di un fare nuovo, trasformandosi in annotazioni per un “contemporaneo” involuto ma volubile, radicato ma non radicale, divengono infine dei transferts plurali alterabili continuamente dalla contingente mancanza di progetto e dalla provvisoria interseomicità dei linguaggi. Non si formulano più pertanto, ruoli di significati e significanti, né si allude ad una realtà da interpretare, quindi sono neutralizzate le impennate metaforiche, e sono più assecondati invece gli enunciati iconici sfronda-ti di tutti i loro valori di interstizio tra soggetto ed oggetto. Un primo gradino di questo incessante procedimento è individuabile attraverso la strada intrapresa da Josef Kosuth e che già supera i principi logici affermati da Tarski secondo cui “tutte le volte che in un enunciato vogliamo asserire qualcosa a un certo oggetto, dobbiamo usare in questo enunciato, non l’oggetto in sé stesso ma il suo nome o designazione”(Filiberto Menna, 1975). Le opere dei giovani artisti superano la loro stessa identità mobilitando una rete di valori il cui intendimento analogico sono più opere, o più referenti convergendo in uno specifico disomogeneo e disarticolato i cui valori della società stessa, possono essere connotatili: la violenza, l’incertezza, l’angoscia etc. Di fronte alle opere di Antonio Fomez ci troviamo invece ad affrontare una nuova via, che è certamente quella della citazione, ma che è anche identificazione, quindi sovrapposizione in senso linguistico oltre che, formale. Egli infatti, costruisce tutta la sua nuova produzione attraverso riporti fotografici provenienti da opere di artisti del seicento napoletano (Ruoppolo, Recco), sui quali, egli interviene dipingendo o ripercorrendo con i colori, le immagini in bianco e nero come ad identificarsi con l’artista stesso, del quale ne porta il senso e ne sente le radici. Avventurandosi nell’intrecciato mondo del passato Fomez soddisfa il suo ruolo di artista inserendosi nella rifazione dell’opera pittorica come incantato e ipnotizzato da un grande spettacolo, che è sempre quello della natura. II gesto-verità, della pittura riemerge proprio nell’esercizio puntuale della rifazione del soggetto al quale è ridata nuova vita attraverso una nuova colorazione. La scelta delle opere alla quali sovrapporsi non è mai casuale, infatti alludendo ad una tagica gioia di vivere, tutta partenopea, Fomez sceglie i suoi soggetti nella gamma più colorata delle nature morte, attraverso le quali ristabilisce un rapporto con la realtà di morte che naturalmente ha due valori, quello della natura stessa rappresentata e quello dell’arte. Riconciliandosi con la policromia del suo gesto, Fomez, si accompagna alle grandi opere del passato, quasi a non condividere l’ineluttabile loro destino, salvaguardando appena la loro origine culturale così spregiudicatamente vitale, riafferma una nuova e disinibita partecipazione alla storia. Non è pertanto, un discorso banalmente ecologico ma è solo un cenno della grande potenzialità culturale nella quale nascono e crescono artisti come Antonio Fomez. Le grandi nature morte alle quali viene data nuova vita attraverso una nuova colorazione appaiono il segno di un convincimento intimo dell’artista il quale cerca di affermare una rinascita non solo Culturale per quanto riguarda le arti, ma un rinato sviluppo dell’uomo verso la natura; quasi una riconciliazione. Le riacquisizioni debite di questa operazione sono quasi certamente, anche consultando il precedente lavoro di questo artista, il segno di un intenso processo di decantazione, rispetto al quale l’artista non si pone come inerte spettatore ma come protagonista attivo quasi prevaricatore rispetto agli antichi linguaggi per riproporre una nuova dimensione uniforme quasi sferica dell’opera. Ci sembra evidente che aver preso in considerazione un periodo dell’arte antica non è un punto di partenza ma è soltanto un incrocio prospettico, un punto di fuga centrale nel quale l’artista si riconosce perché la sua stessa opera è opera del passato. Le lucide reinterpretazioni del lavoro di Fomez raggiungono in questa ultima fase un ruolo di stabilità combaciante con l’opera d’origine attraverso la quale l’artista non annulla, ma aggiunge, quindi enfatizza il valore dell’opera stessa. Un ottimismo pervade tutta l’operazione di Fomez, che è proprio l’ottimismo che ridona il senso alle operazioni pure dell’uomo, come quella del dipingere riappropriandosi non solo di una artisticità incondizionatamente tradizionale attraverso la quale si muove in simbiosi un senso di “tempi nuovi”, condizione necessaria per aprire nuove vie alla speranza e alla fiducia che invaderà il mondo dell’arte.

Giuseppe Manigrasso, 1982

 

 

 

Brevi note biografiche su Antonio Fomez

Antonio Fomez, dopo aver conseguito il diploma di Maestro d’arte, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove consegue il diploma nel 1961. Insegnante di ruolo per decenni negli Istituti superiori, dal 1994 al 1998 ha prestato servizio per brevi periodi in alcune Accademie di Belle Arti italiane. Nel 1957 scrive e disegna “La parabola dei ciechi” di Bruegel, mentre da questa data fino al 1961 completa un lungo saggio sul “Ritratto di giovane” del Rosso, corredato da disegni acquarellati. Nello stesso periodo studia e disegna la pittura futurista e successivamente elabora i primi quadri informali e la pittura nucleare. Ottiene il primo riconoscimento nazionale a Roma nel 1960, quando vince il primo premio in una mostra riservata agli studenti italiani e stranieri delle Accademie di Belle Arti e delle Università italiane. Espone i suoi lavori per invito o per accettazione ad importanti mostre nazionali, come il Premio Spoleto, il Premio Michetti, il Premio Termoli, il Premio Marche, la “Biennale di Pontedera” e altre, vincendo alcuni premi. La prima mostra personale di Antonio Fomez risale al 1961 presso la Galleria S. Carlo di Napoli, seguita da numerose altre in Italia e all’estero, in spazi privati e pubblici. Nel 1963 si trasferisce a Milano. Tra il 1963/64 passa a un nuovo tipo di figurazione ed è tra i primissimi in Italia a utilizzare il linguaggio della pop art. A Milano Antonio Fomez partecipa a varie edizioni del “Premio San Fedele”, riservato ai giovani, dove ottiene il secondo premio con la pseudo scultura “Monumento al soldato bianco”. Negli anni 1966/67, quando furoreggiava la moda della pop-art (nel 1966 aveva vinto alla Biennale di Venezia Le Parc), esegue un ciclo di opere ispirato al tema “Di ritorno da Venezia”, nelle quali, oltre alla paccottiglia kitsch, usa il collage, rilievi di balconcini e bamboline. Dalla sua intensa attività – rappresentata da diversi cicli pittorici e scultorei – nel 1967 appaiono le prime scalette e le opere monocrome bianche, che esporrà a Milano e a Parigi.  Nel 1968 espone alcune vasche contenenti pesci e acqua, che presenta in una collettiva alla Galleria Artecentro di Milano, alla Galleria Toselli di Milano (allora Galleria Nieubourg) e subito dopo in una personale alla Galleria Zunini a Parigi, alla Galleria Carabaga di Genova, dove espone un canotto con acqua e pesci. Nel 1972 e nel 1974 sei sue opere sono riprodotte sulle “Bustine di Minerva”, prodotte dalla Saffa di Magenta (Milano). Nello stesso periodo (giugno 1974) partecipa a un programma televisivo della Rai: “Non tocchiamo quel tasto”, condotto da Enrico Simonetti e Valeria Fabrizi, durante il quale improvvisa in diretta la dissacrazione della Gioconda di Leonardo. Nel 1985, in occasione della Fiera d’Arte di Bologna, pubblica “La Pagella dei critici” col Giudizio Finale, sulla quale gli artisti (Baj, A. Pomodoro, Cavaliere, Del Pezzo, Dorazio e altri) assegnano i voti ai critici. Nel 1988, in occasione del Carnevale Ambrosiano di Milano, esegue una scenografia in Piazza della Scala, mascherando il monumento a Leonardo con un telo piramidale e apponendo sul capo del Maestro di Vinci una grande cesta con frutta colorata. Seguono altri cicli tematici, tra cui particolari rivisitazioni, nature morte e tavole imbandite, e lavori ispirati a celebri opere di Courbet e Velasquez. Negli anni 1996/97, concepisce il ciclo scultoreo “Serpenti & Parenti”, con ceramiche e bronzi. Dal 1999 insegna Pittura in una comunità di recupero in provincia di Bergamo, dove ha attivato un laboratorio di Arte & Terapia e ha dipinto sei grandi murali. Nel 2005 dipinge un murale nel bellissimo borgo di Albori di Vietri sul Mare in provincia di Salerno, rivisitando la celebre Guernica di Picasso.

 

 

 

 

 

 

MARCIANO ARTE, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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