Elio Waschimps, Marat

Autore:WASCHIMPS ELIO

N. - M. :Napoli, 1932 - 2022

Tecnica:Olio su tela

Misure:100 x 100 cm

Anno:1972

Classificazione: Figure, Oli, Figurativi, Moderni

Note Critico - Biografiche

Elio Waschimps

Napoli, 1932 – 2022

 

 

Marat

Dipinto di Elio Waschimps (1932-1922), Marat, olio su tela 100x100 cm del 1972
Olio su tela 100×100 cm del 1972

 

L’opera è firmata con titolo e data “Waschimps Marat 1972” in basso a destra e “Elio Waschimps Marat olio 1972” a tergo sul telaio in alto. Il dipinto inoltre è pubblicato a pagina 60 della monografia “Elio Waschimps” a cura di Vitaliano Corbi, Paparo Edizioni, Napoli, 2006, catalogo della mostra personale tenuta a Napoli, Castel dell’Ovo nel febbraio del 2006. 

Il dipinto raffigura la morte di Marat nella sua vasca da bagno. Il soggetto è ripreso dall’opera di Jacques-Louis David (1748-1825) “La morte di Marat“, un dipinto a olio su tela realizzato dall’autore nel 1793 e conservato nel Museo Reale delle Belle Arti del Belgio di Bruxelles. Waschimps reinterpreta il soggetto tanto nella direzione di una crudezza dell’immagine, riscontrabile sia nella scelta della posa del cadavere che nel dissolvimento della sua figura, ma anche con l’impulso visionario di un cromatismo acceso e intenso che ne smorza la drammaticità.  

 

 

I MARAT DI ELIO WASCHIMPS    

È un sole caldo, questo di questi giorni di febbraio, se si sta a lungo al sole: ma poi basta spostarsi di poco, magari attraversando il marciapiede e ritrovarsi in ombra, e il freddo morde. Febbraio corto e amaro, dicevano le nostre madri, e se adesso ripetiamo il detto popolare ai nostri figli ne riceviamo uno sguardo interrogativo, di stupore, come se a un tratto ci fossimo messi a parlare giapponese. Ma febbraio è anche il mese che porta i primi anticipi primaverili e, per esempio, da qualche giorno è ritornato davanti casa, e vi staziona tutta la mattina, il furgoncino del fioraio ambulante decorato a rami di mandorlo fiorito e tralci di mimose. E così mi basta, appena alzato, accostarmi al balcone e guardarlo, dal tepore della stanza, per riceverne una specie di sferzata interiore, di stimolo, e di sentirmi, come dire? più pronto ad accogliere, a partecipare (e non importa se in questo stato d’animo s’infiltrano, come un residuo della lontana adolescenza, anche sottili e sconosciuti — ma per altro molto conosciuti — brividi di malinconia). E poi di questi giorni via Manzoni assume un aspetto ancora più riposante: sembra quasi che le piogge invernali, battendola, l’abbiano come ripulita, ringiovanita, l’intonaco dei caseggiati e dei villini ritrova una nitidezza di colori più luminosa, e l’aria stessa che vi si respira è più asciutta e sgombra; passeggiare conserva qui tuttora il senso d’un superstite piacere. Sarà anche, non so, una suggestione alimentata, o suggerita, dai pochi casali scampati all’invasione del cemento, che rimandano un’eco d’altri tempi, e d’altri indugi. Nel cortile d’uno di questi vecchi e trascurati casali ottocenteschi ha lo studio Elio Waschimps, in un grosso camerone a pian terreno: quando scendo a comprarmi i giornali o quando, il pomeriggio, me n’esco a passeggiare nei dintorni, e ci passo vicino, getto sempre un’occhiata attraverso l’arco del fabbricato che immette nella corte; e se la porta è socchiusa o vi trapela un po’ di luce, entro a suonare e a trattenermi un’ora o due con lui. Lo studio è grande, disadorno: c’è una stufetta a gas che sfrigge silenziosa, una poltrona dalle molle alquanto cigolanti, un odore pungente di vernici e d’acqua ragia: e le grandi tele messe faccia al muro come bambini in castigo (i bambini d’un tempo, si capisce). E così ho finito col rendermi familiare questa sua pittura: che pare, ad osservarla, una pittura facilmente leggibile ma porta invece una sua problematica inquieta e irrequieta. E, per esempio, una cosa che di Elio Waschimps mi ha colpito è questa: ch’egli non passa, come abitualmente fanno un po’ gli altri pittori, da un soggetto all’altro, non so, nature morte o interni o paesaggi o una figura, ma dipinge, per un certo periodo, sempre lo stesso quadro, ossessivamente; e un’altra cosa che ancora m’ha colpito è questa: che i quadri d’uno stesso ciclo hanno il medesimo tema ma sono tutti diversi l’uno dall’altro, o per il taglio o per l’angolazione o per l’intensità: ma soprattutto per una diversa luce (interiore) che li pervade e li domina. E così parliamo, stando insieme, e io guardo i quadri che lui scopre uno alla volta e sistema sopra una cassetta contro la parete come se li appoggiasse al cavalletto, e lo studio si riempie anche delle volute di fumo delle sigarette, e dal muro le tele, di dimensioni inconsuete, sembrano più che osservarci entrare a poco a poco in mezzo a noi, come il concreto risultato dei problemi che andiamo discutendo. Perché la pittura di Elio Waschimps, ho l’impressione, è una pittura colta: voglio dire, ecco, che in lui, che pure per temperamento sarebbe (o sembrerebbe) un istintivo, c’è questa meditazione involontaria, per cui un quadro non nasce subito, come un fatto emotivo, ma viene prima elaborato, o diciamo ‘pensato’, e perciò dicevo prima che di là dalla immediata leggibilità della tela c’è sempre questa presenza di un pensiero, e d’un giudizio morale. Ma c’è da dire, subito, anche per evitare equivoci, che la sua è comunque innanzi tutto e soprattutto pittura: dove altri avrebbe assunto dichiaratamente la polemica per esprimere la contraddittorietà del nostro tempo, Waschimps ha preferito svolgere, sempre e soltanto in termini di pittura, un discorso più autonomo e profondo, e per suggerirci ad esempio il tema della violenza è ricorso al ciclo di Marat pugnalato nel bagno (il corpo a filo d’acqua nella vasca: e l’ingiuria della ferita, la desolazione della carne torturata, il gelo della morte); così come per darci il senso della solitudine, un altro aspetto di questo nostro tempo, s’è affidato al motivo dell’uomo che si spoglia vicino a una finestra, e sembra viva in un drammatico vuoto pneumatico; oppure, per fare ancora un altro esempio, volendo ricordarci lo scempio edilizio sempre più diffuso intorno a noi, s’è rifatto al mito di Mida, che trasformava in oro, come si sa, qualunque cosa toccasse. Ed ecco queste bellissime e più recenti tele, così intensamente allusive, che hanno tutte uno stesso titolo: la contaminazione della natura: dove lunghe braccia umane sfiorano foglie rami e tralci dorati e ci fanno pensare alle tante braccia e mani tese sulle nostre città, che hanno contaminato e modificato il paesaggio trasformandolo in un solo blocco di cemento.

Elio Waschimps, del resto, ch’è di origine ischitana, mi confessava d’essere tornato questa estate nell’isola dopo un’assenza d’anni, e d’essere rimasto sbigottito di fronte alla proliferazione delle case costruite in così poco tempo: e il risultato di quello sgomento – a non chiamarlo più esattamente sdegno, di cittadino e d’uomo – è oggi questa splendida e severa serie di grandi tele, in cui l’emozione, filtrata attraverso una macerazione interiore, s’è trasfigurata mutandosi in puro fatto pittorico, e certo la contaminazione della natura non poteva trovare un risvolto più liricamente persuasivo e poeticamente operativo. Io stesso gli confesso che ormai, per suggestione più che per contagio, ogni qualvolta mi trovo adesso di fronte allo spettacolo di un paesaggio rovinato dalla speculazione edilizia (e capita sovente), ritorno col pensiero a questi suoi quadri; così come ogni qualvolta sono preso dallo sgomento di fronte alla violenza che ormai dilaga nel mondo a macchia d’olio, irrazionale e assurda quanto più l’apparenza  è quella d’un livellante benessere che sembra il risultato o l’obiettivo dell’espansione della tecnologia, rivedo i lividi agghiaccianti torsi di Marat pugnalato nel bagno.

Ora i Marat sono tutti nello studio, di fronte a noi mentre parliamo di queste cose, e sembrano affiorare dall’acqua torbida quasi come se li avessimo evocati noi discutendo: testimoni muti ma non per questo meno incombenti e presenti, e forse è anche qui la forza di un artista, e la sua necessità, la sua autenticità: di legare la sua produzione ad un giudizio e a un’immagine, ad uno stato d’animo: per cui per me, ad esempio, la violenza è diventata ormai questa, Marat nel bagno, i Marat di Elio Waschimps.

Michele Prisco
«Il Mattino», Napoli, 16 febbraio 1971

 

 

 

BIOGRAFIA 

Nato nel 1932 a Napoli, Elio Waschimps compì studi classici accostandosi in seguito alla pittura sotto la guida dell’amico Raffaele Lippi. Nel 1953 venne allestita la sua prima mostra personale alla galleria Blu di Prussia di Napoli. Le collettive cui partecipò lo videro al fianco di artisti napoletani impegnati come lui a proseguire e rinvi­gorire il filone figurativo; tra le più significative in questo senso sono da ricordare quelle del 53 e del 54 alla galleria Medea, quella del 55 alla galleria La Mansarde con Lippi, De Stefano e Pane e, sempre dello stesso anno, quello alla galleria San Carlo. In questo primo periodo di attività Elio Waschimps, pur non distaccandosi dalla forte tradizione del naturalismo napoletano, mostrò di voler abbandonare i dati iniziali, accentuando la densità della materia pittori­ca e adottando un cromatismo più cupo e allucinato. Ciò parve evidente nelle opere presentate alla personale del 57 tenutasi ancora alla galleria Medea di Napoli. Dimostrò sin da allora una rilevante capacità pittorica, alimentata da una vastissima esperienza dell’arte antica, i cui limiti potevano oscillare dai maggiori secentisti a Soutine, ma che risultavano tutti indirizzati alla scoperta di un mondo aperto e vivo mediante il quale cogliere il momento più palpitante del visibile. Questa disposizione di cui da principio Waschimps si giovò per evitare una secchezza programmatica della tendenza neo-realista, lo trovò poi pronto ad accogliere ed a rielaborare il contributo più valido delle tendenze astratte, non tanto nell’accezione puramente informale, quanto in quelle assai più feconde dell’espressionismo astratto nel suo senso più vasto. Sempre questa disposizione gli ha consentito di pervenire successivamente, ad un modo carico, intensamente lampeggiante, capace di animazioni espressive, ora visionarie, ora confortate da una fede cocente ed irreprimibile nelle cose. Nell’ultimo periodo, si è posto con questo su di una linea di nuovo impegno, tra un nuovo animato naturalismo ed una più sofferta partecipazione alla vita tutta, che ne segnala ad un grado molto alto l’attualità. È morto a Napoli nel 2022.

Ultime esposizioni: Personale, Galleria “34” – Salerno, 2000; “Il Corpo di Napoli” Chiesa dell’Immacolata – Napoli, 2004; Longobardi, Tatafiore, Perez, Waschimps, “Arte Presente”, Istituto Grenoble – Napoli, 2005; Personale, Galleria “34” – Salerno 2005; Personale, Galleria “Del Monte” – Ischia, 2005; Antologica, Castel dell’Ovo –  Napoli, 2006; “L’amicizia della pittura”, Gabriele Mattera, Elio Waschimps, Castello Aragonese – Ischia, 2008; Personale, Galleria “Pagea” – Angri, 2009; 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale – Venezia, 2011; Personale – Fiuggi, 2011; Expo – Milano, 2016; Antologica, PAN Palazzo delle Arti Napoli – Napoli, 2019.

 

 

MARCIANO ARTE, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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