Autore:POSTIGLIONE LUCA
N. - M. :Napoli, 1876 - 1936
Tecnica:Olio su tela
Misure:32,5 x 41 cm
Classificazione: Figure, Figurativi, Oli, Paesaggi, Antichi
Luca Postiglione è un pittore considerato tra i grandi a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento napoletano. Ingegno libero, ricco di fantasia e di arguzia, aperto ad ogni tipo d’interesse, Postiglione ha vissuto in una dimensione che non era più quella del suo tempo. Di qui una scelta anacronistica e malinconica dell’esistenza, alla quale non è estranea la sua pittura, spesso fatta di trasparenze ambrate, al limite del virtuosismo. Di fatto ha avuto una vita molto breve e difficilmente è reperibile sul mercato. Maestro del colore e di suggestive atmosfere, ha avuto molta fortuna presso i maggiori collezionisti italiani ed esteri.
Non conoscevo don Luchino Postiglione: avevo letto le sue poesie e le sue nitide prose di «Disegni a carbone», e sentivo spesso parlare di lui dai miei amici Schettini e Jacobelli; ma non l’avevo mai incontrato.
Un giorno (si tratta di molti anni fa) mi trovavo nella redazione della «Ruota di Napoli», un vivacissimo giornale letterario, cui collaboravano Bontempelli, Gallian, Artieri, Ernesto Grassi, Pasquale Ruocco, Paola Masino, Alfredo Schettini, il sottoscritto e tanti altri giovanissimi scrittori: la piccola stanza che fungeva da redazione era deserta: non vi erano che poche sedie, piuttosto sgangherate, ed un tavolo ingombro di giornali.
Ero tutto intento a correggere le bozze di stampa di un mio racconto, quando, di improvviso, la porta si apre e vedo entrare un signore accuratamente vestito, di media statura, grassotto, dal volto roseo, con due folte basette da torero: sotto la giacca ampia a doppio petto – che gli conferiva una certa aria tra banchiere e attore da «café-chantant» – i calzoni a quadrettini bianchi e neri, aderenti alle gambe e stretti all’estremità.
Mi chiese, quasi con timidezza, del direttore Mancuso e del redattore-capo Jacobelli. Risposi che erano in tipografia e che sarebbero tornati nel pomeriggio.
Invece di andar via sedette presso il tavolo. Poi commentò: — Ho camminato troppo. Vengo dall’«Infrascata».
L’osservai con viva curiosità; ed infine gli chiesi: — Ma lei non è per caso il poeta Luca Postiglione?
Mi guardò, sorpreso: — Sono proprio io. E lei?
Gli dissi chi ero, ed egli allora, forse per eccesso di cortesia, esclamò: — Sono proprio contento di conoscerla. Io leggo con molto interesse i suoi racconti.
Rimasi confuso e commosso.
Ma egli continuò: — Sono pieni di umanità e di poesia.
Lo interruppi quasi bruscamente: — Non mi confonda. Parliamo piuttosto di lei. Da anni desideravo conoscerla. Ho letto i suoi «Disegni a carbone». Che bella prosa! Ho letto e riletto le sue poesie.
Ed incominciai subito a declamarne qualcuna:
Vurrie tenè vint’anne,
vularria ca fosse abbrile
e Sufia spannesse ‘e panne,
n’ata vota, int’o curtile …
P”o curtile antico e allero,
comm’a tanno, chino ‘e sole,
svulazzassero ‘e palomme,
s’abbuffassero ‘e llenzole …
Mi ascoltò con viva attenzione, quasi commosso. Poi mi disse: — Noi dobbiamo conoscerci meglio. Mi venga a trovare qualche volta. Vorrei pubblicare il volume definitivo delle mie poesie. Sono troppe quelle che ho scritte. Ridurle ad un numero esiguo. È necessario. Pensi a Leopardi: trentanove canti!
La conversazione fu lunga e cordiale. Fu una reciproca confessione. Poi uscimmo all’aperto. La primavera trionfava. Le strade piene di sole. Alla fine ci accomiatammo. — Mi venga a trovare! —
Non ci andai. E da allora non lo vidi più.