Errico Placido, Il pittore nel Real Bosco di Portici

Autore:PLACIDO ERRICO

N. - M. :Napoli, 1909 - Portici, 1983

Tecnica:Olio su tela

Misure:49 x 38,5 cm

Anno:1959

Classificazione: Figure, Paesaggi, Oli, Classici, Figurativi

Note Critico - Biografiche

Placido Errico

Napoli, 1909 – Portici, 1983

 

Il pittore nel Real Bosco di Portici

foto del dipinto di errico placido raffigurante il bosco di portici
Errico Placido, Pittore nel Real Bosco di Portici, olio su tela 49×38,5 cm del 1959

 

Placido, pittore di sicura identità, si colloca con le sue opere fra l’esperienza francese di Fauves e quella degli espressionisti tedeschi. La sua ricerca, infatti, si distacca da ogni sorta di legame con la tradizione napoletana, della quale conserva solo la propensione per alcuni temi, primi fra tutti le marine e le nature morte. Fu artista di particolare rapidità esecutiva.

 

“Paesaggi e nature morte, clowns e figure impegnano ancora il pittore di Portici, il quale ha allargato la sua tavolozza a nuove gamme tonali e cerca di rappresentare i piccoli interni familiari, le microribalte, gli angoli della metropoli dove si annida una umanità senza ambizioni e che vive di affetti sinceri la sua giornata senza gloria. Un artista di tutto rispetto che merita il prestigio che riscuote.”

GINO GRASSI

 

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PLACIDO ERRICO

(Napoli, 1909 – Portici, 1983)

 

Placido è vissuto a Portici sin da bambino. Ha dipinto per circa mezzo secolo ed ebbe ad affermarsi sin dal 1938 alla Sindacale d’Arte di Napoli. Numerose sono le sue presenze nelle rassegne e personali in tutta Italia. Placido si colloca con le sue opere fra l’esperienza francese dei Fauves e quella degli espressionisti tedeschi. La sua ricerca si distacca da ogni sorta di legame con la tradizione napoletana, della quale conserva solo la propensione per alcuni temi, primi fra tutti le marine e le nature morte.

Egli nella sua vita quasi sempre movimentata, quasi sempre incerta, che si è svolta in un gioco di sensazioni e di emozioni, di entusiasmi e di avvilimenti, non ha fatto altro che il pittore, il pittore che vive con la pittura e della pittura. Iniziò tanti anni fa con Luigi Crisconio a Portici. Era appena un adolescente, e seguì il maestro nelle sue faticose peregrinazioni per le campagne vesuviane e le spiagge del golfo di Napoli, con lunghe soste sotto il sole, alla ricerca del motivo. Tornava a casa stanco, stordito ma contento di aver dipinto sotto la guida di Crisconio. Era nato pittore. Crisconio, pur così rapido, così impetuoso nel dipingere, spesso rimaneva sorpreso dalla furia con cui il suo giovanissimo allievo e amico realizzava un paesaggio. Da quel tempo ad oggi, Placido ha dipinto migliaia e migliaia di quadri, vagando da un capo all’altro d’Italia.

Egli stesso ha dettato un epigramma a esplicazione della sua pittura: “Credo che la pittura sia poesia delle immagini, e sono felice di averle offerto la mia esistenza, sereno malgrado stenti, ansie e fatiche. Ho cercato di capire al tempo briciole di vita; di registrare l’eco del mare; di cogliere il vasto respiro della mia terra; di esaltare la fatica degli umili; di confortare il dolore della mia gente”. Sono parole schiette, scevre d’ogni incrostazione retorica, che, al pari di una confessione, illuminano intorno a un uomo e a una pittura. Intorno a un uomo che s’avvale della pittura per evocare l’oggetto costante del suo amore: Napoli. Placido Errico, infatti, deve essere annoverato fra gli interpreti più puntuali di Napoli, di un paesaggio dove la solarità mediterranea par di continuo naufragare nella malinconia, e della gente di Napoli, all’apparenza sorridente e chiassosa ma in effetti pregna di quella stessa malinconia. La pittura di Placido si palesa meditata e sofferta, per intero dischiusa ai sensi profondi e riposti che la realtà disvela all’artista. Pittura intesa come gesto “necessario” giacché, dipinto dopo dipinto, corrisponde ad un’esigenza interiore maturata nel muto colloquio che quotidianamente l’artista imposta col mondo che lo circonda e dal quale trae linfa alle sue giornate. Il pregio che caratterizza l’opera di Placido è originato dalla facoltà propria dell’artista di accordare un particolare momento del reale a un momento del suo spirito, e perciò di conferire all’immagine la pregnanza di una esperienza la più intima ed intensa. Sempre in Placido preme un dolente patire, una sottile mestizia che ossida il cielo ed il mare, il senso di caducità delle cose, l’inevitabile fluire dell’esistenza verso una caduta irreparabile. Allo sguardo dell’osservatore, trascorrono le molteplici effigi della realtà partenopea: figure di giovani donne nelle quali la speranza pare pacarsi al fiato di un presentimento di dolore o figure di donne adulte sulle quali crudelmente si depositano i segni stinti di rare gioie e di troppe sofferenze. Anche figure di poveri teatranti, di clowns straccioni, di malinconici Pulcinella che tentano ancora un ultimo spettacolo per donare una risata fittizia in cambio di un tozzo di pane e una scodella di minestra. Placido scandaglia la realtà napoletana con particolare frequenza, forse nel ricordo di personali vicissitudini che trasformano la sua adesione a quei protagonisti in un tenero atto d’amore.

 

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Placido nacque a Napoli nel 1909, ma ha vissuto a Portici sin da bambino. Ha dipinto per circa mezzo secolo ed ebbe ad affermarsi sin dal 1938 alla Sindacale d’Arte di Napoli. Numerose sono le sue presenze nelle rassegne e personali in tutta Italia.

Placido  è morto a Portici nel 1983

Placido, il suo casato è in stridente contrasto con il suo temperamento di uomo e di Artista.

Egli nella sua vita quasi sempre movimentata, quasi sempre incerta, che si è svolta e si svolge in un gioco di sensazioni e di emozioni, di entusiasmi e di avvilimenti, non ha fatto altro che il pittore, il pittore che vive con la pittura e della pittura.

Iniziò tanti anni fa con Luigi Crisconio a Portici.

Era appena un adolescente, e seguì il maestro nelle sue faticose peregrinazioni per le campagne vesuviane e le spiagge del golfo di Napoli, con lunghe soste sotto il sole, alla ricerca del motivo. Ne ha consumate scarpe, in queste sue escursioni di apprendissage! Tornava a casa stanco, stordito ma contento di aver dipinto sotto la guida di Crisconio. Era nato pittore. Crisconio, pur così rapido, così impetuoso nel dipingere, spesso rimaneva sorpreso dalla furia con cui il suo giovanissimo allievo e amico realizzava un paesaggio. Da quel tempo ad oggi, Placido ha dipinto migliaia e migliaia di quadri, vagando da un capo all’altro d’Italia, non più a piedi ma in automobile. (La macchina) mi disse un giorno, ” mi è di grande vantaggio, mi scopre il paesaggio. Mentre corro a tutta velocità mi fermo di botto, apro la cassetta e mi metto a dipingere “.

Pittore di grande istintività, autodidatta, lavorando incessantemente tutti i giorni si è liberato di ogni influenza del maestro raggiungendo un suo stile, ritrovando un suo mondo poetico.

Se risorgesse, anacronisticamente, la Repubblica di Portici (Scuola Resina), certo sarebbe il pittore Placido a spiccare quale protagonista. E non soltanto per i suoi meriti innegabili di artista del pennello ma per la singolarità estrosa del personaggio, che qualche decennio fa, quando non era uscito ancora dalla adolescenza, incantava gli spettatori in molti teatri d’Italia con gratuita esibizione di giochi di prestigio (fazzoletti, palline multicolori, che sparivano e riapparivano da una manica, in cappello, da una tasca del cappotto degli astanti, fiorivano dai punti più imprevisti, assecondando l’acrobatico movimento delle mani).

Anche questi effimeri prodigi preludevano, del resto, ai tanti doni naturali del futuro pittore, e, in particolare, a quella rapidità di esecuzione da “Luca fa presto”, a quella sicurezza della composizione sempre equilibrata, a quella inesauribile libertà del concepire e sveltezza nell’eseguire, a quella continua vitalità dell’espressione, sempre idonea ai suoi fini e coerente alla qualità della visione.

E questo, tanto che si tratti di una figura o di un paesaggio, di una marina o di un nudo: ogni cosa compiuta con una pennellata fremente ed intensa, che è sommaria soltanto all’apparenza.

La fragranza del colore e la briosità del segno si amalgamano in fluidità di sintesi soprattutto in certi assembramenti di figure del circo e, meglio ancora, in certe individuazioni di personaggi della scena: un pierrot lunare, un pagliaccio trasognato, un arlecchino beffardo e altri personaggi, che sono colti in atteggiamenti e moti istantanei o al fuoco della ribalta o al riparo delle quinte. E’ qui che il colore sprizza particolarmente vibrante e definitorio che si può scorgere in pieno lo scatto dell’originalità di Placido Errico.

E’ allora che il segno si identifica con il colore e il gusto della sintesi si distacca dalla tradizione locale e il pittore si immerge in un contesto europeo, tra la schiera francese dei “Fauves” e quella degli espressionisti tedeschi del “ponte” (Die Brùcke).

Ma il suo temperamento, sorretto da sensibilità e fantasia, si rivela ancora nelle composizioni di figure e di nudi sapientemente organizzati, in un paesaggio idilliaco, in una marina sconvolta dalle onde, in una natura morta intensamente cromatica, in un mazzo di fiori di trepida freschezza primaverile. Qui i toni freddi e i toni caldi che si bilanciano in variazioni controllate da forza e sensibilità, diventano poetiche modulazioni di una fantasia che persegue sempre il miraggio di cogliere l’aspetto della natura, degli affetti, della memoria, in una similare evidenza di realtà e di sogno.

Il segno di Placido si identifica, allora, con il colore assimilandone l’essenza interiore.

E’ qui il segreto della sua appassionata gioia di vivere: una gioia che si riscontra così negli affetti umani come nello spettacolo dei fenomeni e delle stagioni.

Ricordo un giorno in cui ci incontrammo a Milano con il collega Marco Valsecchi e parlammo del temperamento artistico di Placido. Insieme convenimmo che se il nostro artista avesse avuto il coraggio di mettere da parte i sentimenti e l’amore per la sua Napoli, avrebbe certamente ricevuto consensi validissimi per la sua pittura, oltre confini.

CARLO BARBIERI

 

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LA POESIA DEL SUD NELLA PITTURA DI PLACIDO

Placido Errico pittore nacque a Napoli nel 1909, ma vive e lavora a Portici. Dipinge da circa quarant’anni ed ebbe ad affermarsi fin dal lontano 1938 alla Sindacale d’Arte di Napoli; egli è tuttavia pittore giovane per temperamento ed espressione giacché i decenni trascorsi di esperienze umane, di lavoro e di ricerca hanno esaltato il suo naturale talento in una mirabile maturità di forme e di colori, ma senza scalfire la sua ansia di rinnovamento. La pittura di Placido è uno ‘di quei fenomeni d’arte, oggi piuttosto rari, in cui l’uomo e l’artista si identificano e si riconoscono. Le opere di Placido sono pervase dalla poesia della natura ed insieme di amore nel senso di fraterna pietà per il loro dramma quotidiano, esprimendo, in forme e colori armonizzati da un talento istintivo e da un’arte matura, la partecipazione di questo pittore alle cose ed alla vita che lo circondano. Ciò spiega perché Errico Placido, schivo com’è di incontri, confronti, discussioni e quant’altro fa oggi dell’arte anche un fatto polemico, sia un pittore a sé stante; ciò spiega anche perché la sua pittura maturata senza alcuna influenza, sia espressione genuina di un’arte vera ed originale e, perciò, da considerarsi uno degli elementi più vivi della nostra pittura contemporanea.

E’ questa la presentazione in catalogo di Mario Fiengo : una presentazione limpida, semplice, senza le solite impennate. Ma Errico Placido va presentato anche come poeta. Ecco alcuni suoi versi che appaiono in catalogo :

«Credo che la pittura sia poesia delle immagini,

e sono felice di averle offerto la mia esistenza,

sereno malgrado stenti, ansie e fatiche.

Ho cercato di carpire al tempo briciole di vita;

di registrare l’eco del mare;

di cogliere il vasto respiro della terra;

d’esaltare la fatica degli umili;

di confortare il dolore della mia gente».

Non è tutto: ho ascoltato dalla sua voce, in compagnia di Armando Scaturchio, altre poesie, in dialetto napoletano. Simpaticissime, accorate, forti di quel sentimento e di quel calore umano che è nostro, di noi meridionali. Quella del « cacciatore » m’è piaciuta di più. Vorrei farvela sentire, ma non è facile scrivere il dialetto. E poi la mia recensione è riservata ai suoi quadri, alla sua pittura. Una pittura nella quale si riflette l’animo di Placido-poeta, schietto nei sentimenti come nei colori, vivo nelle immagini, spontaneo nelle espressioni, romantico nei paesaggi, delicato nei fiori, severo nelle figure alle quali affida il palpito del proprio essere. Senza trucchi (anche se di trucchi Placido ne conosce tanti, da quel magico prestigiatore che è) e senza sofismo: ma con la filosofia della semplicità, quella che gli suggerisce lo stato d’animo, la filosofia spicciola della vita quotidiana, la filosofia del «vogliamoci bene» sotto il sole di Napoli, che è il sole di tutta l’umanità. E’ un poeta Placido Errico, e non c’è quadro che intimamente non contenga una poesia. Che è ricordo di una scena vissuta, che è sentimento per una persona amata, che è tenerezza per una bimba sperduta nel bosco o per un clown che ride nel circo, che è incanto per un passaggio al tramonto, che è mestizia per i pescatori dopo la libecciata. Pittura semplice, ma viva e penetrante; pittura senza scorie di artificiosità; pittura tutta carica di bontà. Pittore, poeta, prestigiatore, Placido, l’artista di Portici dalle cinque «P». A recensirlo ci ha pensato una sesta «P», vale a dire…

PETRONIUS

 

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[…] Placido è essenzialmente un osservatore sincero della natura e delle cose familiari ai suoi occhi esercitati nella esperienza della forma e del tono, che ne è il fondamento intimo. Ogni suo motivo ispiratore del mare, della campagna, dei fiori — come in questa mostra — trova una rispondenza semplice e immediata nella sua tecnica robusta, che gli permetta agevolmente di realizzare la visione intensa di un paesaggio o di una figura ambientale, che respiri nella propria atmosfera. Perciò i suoi soggetti sono pittoricamente reali, egli possiede dunque il requisito primario del pittore, il solo che autorizzi positivamente tale qualificazione.

ALFREDO SCHETTINI

 

 

 

 

MarcianoArte, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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