Paolo Pratella, Natura morta (aringhe)

Autore:PRATELLA PAOLO

N. - M. :Napoli, 1892 - 1980

Tecnica:Olio su tavola

Misure:48 x 58 cm

Anno:VENDUTO

Classificazione:

Note Critico - Biografiche

Paolo Pratella

Napoli, 1892 – 1980

 

Natura morta (aringhe)

 

dipinto di paolo pratella
Paolo Pratella, “Natura morta (aringhe)” dipinto ad olio su tavola 48×58 cm

 

 

 

Biografia

Paolo Pratella nasce a Napoli nel 1892. Come Fausto segue gli insegnamenti paterni, ma si dimostra sempre più autonomo nelle scelte stilistiche rispetto al fratello maggiore. Segue un corso di pittura presso l’Istituto d’Arte di Napoli insieme a Lionello Balestrieri. Vive per molti anni a Capri. Paolo, a differenza del fratello Fausto, “più libero e audace specie nei paesaggi vesuviani, ha sempre dimostrato una personalità autonoma e ricca di fermenti e di curiosità stilistiche. Particolarmente interessante è la tecnica con cui tratta la materia pittorica determinata anche da conquiste post-cubiste, che danno a certe sue pitture, preziose e aggrumate, un tono che ricorda il Ragione parigino.” (P. Ricci, Arte e artisti a Napoli, Napoli 1983, p. 217). Partecipa, ma non assiduamente come Fausto, alle esposizioni nazionali e internazionali. Alla morte del padre si trasferisce a Napoli e la sua intensa attività pittorica è dimostrata dalle quindici mostre personali organizzate dalla Galleria Michelangelo. Muore a Napoli nel 1980.

 

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All’accademia Giacinto Gigante la prima retrospettiva nazionale dell’artista nel 1998

Paolo Pratella, pittore della luce

Dopo la mostra dedicata al confronto tra la pittura napoletana dell’800 e quella europea, l’ultimo appuntamento della stagione espositiva, prima delle vacanze, è un autentico evento: la “Prima retrospettiva nazionale di Paolo Pratella“.

L’evento

La riscoperta, se non addirittura per qualcuno la “scoperta, di un maestro napoletano che occupa un posto di rilevo nella storia della pittura dal 1915 al 1980, parte ancora una volta dall’accademia Giacinto Gigante così come accadde per Michele de Simone (retrospettiva alla “Bianchi d’Espinosa”) e per Francesco Di Marino (retrospettiva in occasione del centenario alla sala “La Vetta”).

Il fatto che simili obiettivi rientrino negli interessi culturali e statutari dell’associazione, non esclude il piacevole impegno con cui ci si occupa di un artista del quale si conoscono tutti i risvolti della sua vita artistica.
Questa mostra è rivolta alla critica, ai mercanti e soprattutto ai collezionisti del periodo che va dal secondo Ottocento fino ai giorni nostri, perché il carattere di questo particolarissimo autore, per certi versi fenomeno del tutto isolato, rientra nel gusto ambivalente dei due secoli e giunge a esiti ben superiori ai loro apparenti confini, sia per intuizioni morfologiche, sia per intenzioni contenutistiche.

L’ambiente familiare

Per identificare la personalità di Paolo Pratella occorre innanzitutto descrivere l’ambiente familiare in cui visse e le ingannevoli circostanze in cui egli si trovò ad operare: figlio di un pittore, riconosciuto e richiesto maestro dell’800, e contemporaneamente fratello di altri due pittori operanti in stretta simbiosi con un padre celeberrimo egli apprese quasi tutto in casa finché sopraggiunte istanze culturali non lo spinsero oltre. Così lentamente si sporse timidamente in mezzo alle cose di fuori casa, dapprima all’istituto d’Arte, poi all’aperto da solo, e infine in mezzo ai colleghi pittori che già camminavano da soli, accolto quasi sempre con rispetto ma anche col sospetto di chi inevitabilmente era e restava il figlio del grande Attilio Pratella, vivendo una sorta di vita parallela a quella del quasi coetaneo pittore Guido Casciaro, anch’egli figlio di un celebre e stimato maestro dell’800. Sarebbe inutile rimarcare ancora la validità dell’opera paterna, o quella dei suoi dotatissimi fratelli; è utile, invece, sottolineare il lungo lavoro e i non facili risultati di un pittore solitario, non rassegnato al ruolo di componente d’una stirpe, amareggiato dall’ostilità dell’ambiente, conscio della responsabilità che gravava sulla sua posizione di continuatore che è stata quasi sempre in contrasto con il suo spirito moderno e con le sue ansie avveniristiche. E’ utile riconoscergli lo sforzo operato all’interno della sua personalità, talvolta frustrata violentemente da esempi troppo grandi e troppo vicini, sempre rivestita di quella dignità e di quel tratto superiore che sono dei più forti.

La tensione dell’artista

Paolo Pratella ha dato prova di grande amore e di grande dedizione dimostrando di saper coniugare i verbi “volere” e “potere”, ha ascoltato i consigli di artisti come Balestrieri e Galante, ha studiato gli Impressionisti. Quella cultura, cioè, non solo italiana che ha finito col frantumare i residui di un inevitabile provincialismo, ancor oggi in molti maestri duro a morire. Anche i contatti con artisti come Villani, Crisconio e Viti fruttuosi e non svaporano al momento in cui inizia il percorso artistico di Paolo Pratella che ormai assume in proprio la paternità responsabile della sua pittura . Partito da un figurativo già abbastanza personale ha accentrato nel paesaggio le sue doti tecniche, riuscendo ad esaltare stilisticamente semplici spunti mediterranei (Capri – Procida) ed a comunicare le sensazioni dei fenomeni naturali (Vesuvio, Pozzuoli), inserendovi l’elemento dominante che costituirà poi la sua caratteristica: la tensione. Essa infatti è onnipresente nell’opera dell’artista, anche quando sembra che l’immagine riposi nel suo perimetro compositivo, lontana da ogni preoccupazione esistenziale. Invece, un particolare, una svirgolatura più incisiva delle altre, un colore più profondo sembrano turbarla profondamente ed è proprio qui che avviene la trasmissione più intima della tensione pratelliana; come di una imminenza, di una vicina fatalità alla quale non è possibile sottrarsi.

Le opere

I grandi paesaggi vesuviani, il mare ad ogni ora e i pre-temporali contengono più e meglio di altri temi questa tensione e comunicano maggiormente un disagio incombente attraverso i bruni delle rocce, gli anfratti, la vegetazione prepotente ed insieme atterrita dalla furia degli elementi; attraverso i cieli grigi e graffiati da saettanti nuvole, attraverso i mari vorticosi ed i venti che senti tessere un dialogo con le cappe più alte e con le rupi più sporgenti. La colorazione personalissima (il colore di Paolo Pratella fa storia a sé) commenta le pagine del suo discorso, formando la maglia d’aggancio della sua pittura tra un linguaggio di foggia primo-novecentista ed un tipo di linguaggio contemporaneo non ancora definibile. In mostra, fino al 31 maggio, si possono ammirare gli abbaglianti “Paesaggi Marini” nel controluce di Procida, le “Zaccalee”, il “Porto a Marina Grande”, gli “Approdi”, le “Feste sul mare”, il sole “meridiano” e ancora gli “Interni di paese”, le “Terrazze assolate” e le “Spiagge con ombrelloni”, le “Finestre al sole”, le “Case di Pescatori”, i “Vecchi cortili” e poi i “Cardi secchi”, i “Fiori di carciofo”, le grandi “Nature morte” con pesci, con fiori con funghi. Tutto un caleidoscopio colorato, impensabilmente scaturito dall’osservazione di occhi stanchi e dalla fantasia che pure, a oltre tre quarti di secolo, poteva voler riposare, si svolge in una pittura tra le più vivaci del Novecento.

(da www.denaro.it)

 

 

 

 

 

Marciano Arte galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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