Ciro Lauto, Quel che un papiro

Autore:LAUTO CIRO

N. - M. :Ercolano, 1955

Tecnica:Tecnica mista su tela

Misure:91 x 75 cm

Anno:2013

Classificazione: Moderni, Altre Tecniche, Astratti

Note Critico - Biografiche

Ciro Lauto

Ercolano, 1955 

 

 

Quel che un papiro

Foto dell'opera astratta del grande artista Ciro Lauto, titolo "Quel che un papiro", tecnica mista su tela 91x75 cm del 2013.
Tecnica mista su tela 91×75 cm del 2013.

 

L’opera è firmata “Lauto” in basso a sinistra. A tergo: firma, titolo e anno “C. Lauto, Quel che un papiro, 2013”

 

Nato a Ercolano nel 1955, diplomato all’Istituto tecnico E. Fermi di Napoli, Ciro Lauto frequenta la facoltà di Psicologia dell’Università di Roma. Dopo aver vissuto nove anni a Parigi, dal 1991 si trasferisce in Germania a Tübingen dove vive e lavora.

 

 

TRACCE LIRICO-GEOMETRICHE NELLE OPERE DI CIRO LAUTO

  Pallidi riflessi cancellati a metà, come se fosse un palinsesto risalente alla notte dei tempi: figure della moda, mille volte inflitte alle nostre menti, la cui presenza sulla tela non fa però scaturire che una fugace sensazione di «dejà vu». Riconosciamo tracce di giornali, segni di settimanali con la loro scia di illustrazioni pubblicitarie, ma solo a stento riusciamo a decifrarli. Parabole altamente significative: testimoni passivi dei cupi avvenimenti che scuotano il nostro pianeta, cibati dalla flebo dell’informazione, sappiamo tutto ma capiamo sempre meno a misura che si estende il campo della conoscenza. Ci troviamo proprio nell’era della «messa a distanza» profetizzata da Debord. In un mondo che smarrisce i suoi punti fermi, e che si appresta a un tuffo in nuove e seducenti autostrade virtuali, i temi dell’informazione e del ricordo sono indissolubilmente legati, come quegli uomini bifronti, un viso verso l’avanti, l’altro rivolto all’indietro, binomio di azione e di riflessione, che Zeus tagliò in due per creare la nostra razza. Ciro Lauto, dopo essersi interessato per molto tempo della questione del doppio e dell’inconscio, ci spinge alla domanda: i nostri occhi sono buco nero o specchio? Dalle scritte che l’artista fissa pazientemente sul quadro, riflesso di un’epoca della nostra vita, rimane tutto nel profondo della mente o svanisce nel nulla? Una geometria severa — e dolce allo stesso tempo grazie ai delicati colori pastello — serve mirabilmente il proposito del pittore, sottolineando gli effetti perversi del miraggio mediatico. Delle lune sempre piene — bellezza della sfera che condiscende ad entrare in contatto con l’ambiente che la circonda in un unico punto e che rifiuta di inclinare di alcun lato! Delle piramidi dai versanti asciutti quanto squadri, massa di energia terrena tesa verso una meta spirituale, che si riduce anche qui ad un solo punto. Sono queste alcune delle più forti raffigurazioni simboliche del rigore, del rifiuto del compromesso, dell’imparzialità; tutti valori «a rischio» nella nostra società. Picasso, Malevic e Duchamp hanno liberato l’artista dalla pesante ragnatela delle regole dell’arte e degli esigui cerchi di conoscitori e collezionisti. Diventato libero come una palla da bigliardo sul tappeto verde, l’artista è stato trascinato nel vortice del mercato, del profitto e della distribuzione organizzata. Ha spesso perso nel processo un indispensabile senso dell’etica e dello sforzo personale. Con il suo modo di operare, minuzioso e perfezionista, Ciro Lauto ci rammenta una specie in via di estinzione, quella degli artigiani. Un accostamento che sarà considerato spregiativo solo da chi non percepisce quanto sia importante un lavoro ben fatto per chi ama il proprio mestiere. Le sue tele sono come oggetti d’arte lungamente e amorosamente lucidati. Dalla delicata operazione di «décollage» delle scritte fino al «remplìssage» varie volte ripetuto dello sfondo (chi potrà dire lo sforzo che si cela dietro questa operazione quando viene realizzata ad olio, cosi restio all’essicazione, piuttosto che ad acrilico!), fino agli esercizi di spostamento di materia — traslazione di ferite perfettamente cicatrizzate — l’opera si costruisce nella durata, che si tratti di settimane o di mesi. La ricerca può essere lunga, anzi molto lunga. Lo sappiamo e ne conosciamo il prezzo. Scorgerne gli sviluppi nel tempo non fa che duplicare il piacere dell’osservatore.

RAFAEL PIC, Parigi, 1995

 

 

 

CIRO LAUTO …OLTRE 

In riguardo all’opera di Ciro Lauto, si ha la sensazione che egli voglia suggerirci di volgere uno sguardo attento più in là. Edificata la sua strada, egli è tuttavia sempre alla sua ricerca, verso la quale si incammina coraggiosamente. Per un certo periodo di tempo le sue opere sono marcate della geometria. Le linee dritte e le forme perfette nella loro esecuzione, emanano, tramite delicati toni pastello, (contrapposti al “colore” nero) un’aria romantica e di tenerezza, pur continuando a mettere in evidenza le tracce visibili di un certo perfezionismo. Di volta in volta l’artista ci fa partecipe della sua evoluzione e ci sospinge in modo netto, ma discreto, come egli stesso dice in una sua poesia, “attraverso infiniti spazi arcani”. Nella visione delle sue opere, si passa tra la concretezza (delle forme) e i contrasti apparenti (tra le stesse forme e i colori). Può allora una cosa esistere senza l’altra, senza il suo opposto (luce/ombra, conscio/subconscio, verità/bugia)? Durante la realizzazione dei suoi quadri Ciro Lauto si lascia sovente ispirare dalla musica classica. Spesso è (ad esempio) l’influsso del “Lohengrin” di Richard Wagner o le melodie di Verdi a suggerirgli le forme libere, asimmetriche. Dunque, fondamentalmente è proprio l’asimmetria, come egli ci dice, il mezzo di espressione più importante per il suo “essere”, in quanto artista e uomo. Attraverso un gioco interessante e stravagante di colori e di forme irregolari, l’opera riesce a suscitare dentro una molteplicità di stati d’animo. Ad una prima osservazione queste forme ci appaiono abbastanza nitide nel loro essere, nel loro porsi nello spazio, mentre poi, in un secondo momento (o forse nello stesso tempo?) sembrano svanire, inghiottite dallo sfondo. Il tutto e il niente? Davanti a questi spazi misteriosi e intangibili, sono queste le impressioni che prendevano corpo dentro me e si rafforzavano ancora di più anche attraverso le parole di Hermann Hesse nel suo “Demian”, parole che anche l’artista condivide in tutto e per tutto: “Le cose che vediamo sono le stesse cose che abbiamo dentro di noi. Non c’è nessun’altra realtà all’infuori di quella che portiamo dentro di noi”.

SUSANNE KAMINSKY, Tübingen, 2001

   

 

 

 

MarcianoArte, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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