Angelo Casciello, Tecnica mista (3 opere)

Autore:CASCIELLO ANGELO

N. - M. :Scafati, 1957

Tecnica:Tecnica mista su carta

Misure:100 x 70 cm

Anno:2007

Classificazione: Moderni, Astratti, Altre Tecniche

Note Critico - Biografiche

Angelo Casciello

Scafati, 1957 

 

 

Oplonti

Dipinto originale dell'artista Angelo Casciello, Oplonti del 2007, tecnica mista su carta 100x70 cm
“Oplonti”, tecnica mista su carta 100×70 cm del 2007

Firma e data a matita in basso a destra “Casciello 2007” e titolo a matita al centro a sinistra “Oplonti”. Opera pubblicata a pagina 62 del catalogo della mostra a Casalecchio di Reno (BO) Angelo Casciello disegni-pitture-sculture 1997-2007, edito da Arteteka nel 2007 con testo critico di Claudio Spadoni

 

 

Festa di luna

Dipinto originale dell'artista Angelo Casciello, Festa di luna del 2007, tecnica mista su carta 100x70 cm
“Festa di luna”, tecnica mista su carta 100×70 cm del 2007

Firma e data a matita in basso a destra “Casciello 2007” e titolo a matita in basso a sinistra “Festa di luna”. Opera pubblicata a pagina 66 del catalogo della mostra a Casalecchio di Reno (BO) Angelo Casciello disegni-pitture-sculture 1997-2007, edito da Arteteka nel 2007 con testo critico di Claudio Spadoni

 

 

Tragedia

Dipinto originale dell'artista Angelo Casciello, "Tragedia" del 2007, tecnica mista su carta 100x70 cm
“Tragedia”, tecnica mista su carta 100×70 cm del 2007

Titolo, firma e data a matita in basso a destra “Tragedia, Casciello, 2007”.

Opera pubblicata a pagina 47 del catalogo della mostra a Casalecchio di Reno (BO) Angelo Casciello disegni-pitture-sculture 1997-2007, edito da Arteteka nel 2007 con testo critico di Claudio Spadoni.

Opera pubblicata in bianco e nero a pagina 41 del catalogo della mostra alla Reggia di Caserta Angelo Casciello apparizioni regali, organizzata da Arethusa e Art’s Events nel 2007 con contributi critici di Massimo Bignardi e Ferdinando Creta.

 

 

 

ANGELO CASCIELLO SUL GRANDE “SPECCHIO” DELLA PARETE 

  Ero certo che prima o poi Angelo Casciello si sarebbe imbattuto in un grande schermo piano, bidimensionale: una grande parete, un muro sul quale specchiare il racconto delle immagini, insomma riprendere il fil rouge che lo riporta alle sue origini di pittore muralista. È un riallacciarsi all’esperienza del giovane pittore non ancora ventenne che, sulle pareti scalcinate di case che perimetravano piccoli poderi della piana vesuviana, dichiarava la sua esistenza di libertà, ‘affrescando’ il sogno e l’identità del bracciante, affidando alla pittura il compito di tracciare una traiettoria al suo domani. S trattava allora di grandi figure che uscivano dalla tessitura dei mattoni di tufo, sporgendo il loro corpo di immagine sull’assolata terra, campo della quotidiana lotta dell’esistenza ma, anche, dell’attesa, del farsi resurrezione e rinascita di una nuova stagione. Angelo dichiarava, in quelle pitture dettate da un chiaroscuro che esaltava una certa plasticità compositiva con chiari rimandi a Siqueiros, il suo progetto, vale a dire la sua idea di arte, il suo tendere ad un’effettiva identità esistenziale. Il grande muro assumeva il valore, non di schermo, bensì di specchio nel quale capovolgere il mondo per accogliere la sua infinita gamma umana: un progetto che guardava, già dal suo estrinsecarsi come esperienza esibita dall’entusiasmo giovanile, allo spazio, alla sua dimensione di universo plastico e, al tempo stesso, di luogo delle immagini. Insomma uno spazio che è quello dove vive l’uomo, con i piani, le superfici improntate dal suo veloce o lento passaggio, dai segni lasciati da una ‘bava’ come “traccia di presenza umana” diceva Bacon che conserva i “residui mnemonici di eventi passati”, consegnando, in pratica, gli umori, le preoccupazioni, i sogni, gli slanci. Da queste esperienze, ancora tutte all’alba della sua vicenda artista, realizzate nel cuore degli anni settanta, cioè di quel decennio pieno di attese drammaticamente annegate nella follia del terrorismo, sono nate quelle carte che, nel 1983, raccogliemmo, Angelo ed io, nella sua prima monografia che apriva la collana Strumenti, da noi immaginata, sognata, progettata come le raffinate pubblicazioni di Scheiwiller. Ero certo anche che i disegni tracciati, come appunti di future sculture su piccoli fogli di carta, avrebbero lasciato la contenuta dimensione ed invaso l’ambiente con forme di corpi plastici che oggi, nella materia antica del ferro, trovano la loro più concreta esistenza. Il disegno è per Angelo Casciello un esercizio quotidiano; è il modo di come si confronta con l’immaginario sollecitandolo, a volte, a riprendere una figura già vista o, forse, oramai nota, oppure a tradurre, nella granulosità del segno, la traccia lasciata dalla penna affidandola al nero del carboncino ma anche alle sfumature, tradotte da leggere carezze del pollice o, semplicemente, del palmo della mano. Angelo Casciello misura lo spazio, lo plasma anche quando il disegno si fa più scarno, inciso, quando taglia i piani con assoli squillanti, acuti che si disperdono nel bianco del foglio o della parete lasciando, però, l’impronta di una presenza immanente ed attiva. Così è stato per Le stanze sognate, il ciclo di dipinti eseguiti sulle pareti di quello che un tempo fu la cistercense Abbazia di Santa Maria di Realvalle ove l’artista, dalla seconda metà degli anni ottanta al 1991 con l’assenso delle suore francescane alcantarine, trovò rifugio per il suo studio. Era un luogo appartato, riparato dalla iterata quotidianità di Scafati, ove sono nate tante sculture, tra queste La fiorita, del 1989, presente in questa mostra Nelle stanze sognate il segno si fa scrittura di un diario intimo, pronto ad annotare il silenzioso procedere dei giorni, finanche l’inquietudine che alitava sulle strategie studiate per non disperdere la vitalità che era esplosa sulle pareti delle Corderie quando, alla Biennale di Venezia, del 1986, aveva esposto Veglio di notte i miei sogni, un dipinto su carta di grandi dimensioni del 1985, che metteva a registro sia lo scatto immaginativo della figura, il suo articolarsi sul piano sia la dimensione plastica della forma, impregnata di umori terrestri, di granulosità cosmologiche, di rimandi archetipici. Era un segno che dichiarava la vocazione a farsi spazio, tale da imprigionare corpi e divenire, di lì a poco, effettivo luogo. Quello di Realvalle è un ciclo di pitture rimasto sconosciuto al pubblico, documentato dalle fotografie di Enrico Grieco che oggi ne raccontano le sequenze, stanza dopo stanza, pagina dopo pagina entrando nel cuore nascosto di un artista che ha voluto con lucidità specchiarsi in esso. Segni, allungati, sottili, senza spessori, senza ombre, fili d’erba che si alzano al cielo, oppure rami che incastravano l’architettura di alberi sussurrata da poche linee, frutto di quel processo che, all’indomani della Biennale di Venezia, Angelo Casciello aveva avviato spingendo verso una sintesi dell’impianto compositivo. Dipinti senza sosta che avvolgevano lo spazio delle antiche architetture, seguendo le curva delle volte, raggirando i grandi pilastri trecenteschi, suggerendo allo sguardo, di tanto in tanto, di andare oltre i vetri e scivolare in quello che era rimasto del vecchio chiostro. Di questa tensione l’artista impronterà le opere degli anni novanta, le sue sculture, oramai ben note, presenti in molti musei europei, in spazi pubblici nei quali è tornato a misurarsi con l’ambiente, costruendo un effettivo rapporto con esso: gli esempi sono tanti ai quali si aggiunge, fra qualche mese, la stazione di Mugnano della Metropoli-tana campana, opera che maggiormente espliciterà la felicità, l’inventiva, la forza di una maturata idea creativa. Pareti alte oltre dieci metri, ampi spazi concepiti come architetture-sculture, scandiranno le linee portanti di un progetto che, nella sua totalità immaginativa, è la sintesi di un nuovo modo d’intendere il rapporto tra l’individuo e la società, ma, anche, della capacità che l’artista ha di far dialogare l’immaginario con la pratica, insomma con il patrimonio delle manualità creative della sua terra. È un’opera nella quale si specchia la forza di un’identità che si fa energia collettiva, sociale, “il risultato -avrebbe detto Valéry – di un’azione il cui scopo finito è di provocare presso qualcuno degli sviluppi infiniti”. I due grandi dipinti realizzati, oggi, per le sale della Reggia di Caserta, preannunziano tale opera anche se non vanno intesi, però, quali prova in scala leggermente ridotta, di quello che vedremo a Mugnano, bensì misura del circoscritto e profondo desiderio di tracciare, come era stato per Realvalle, un segno che fosse scrittura privata, coscientemente concepito per scomparire – come sarà a chiusura della mostra – e lasciare al bianco della parete la sua funzione di sfondo sul quale si staglieranno altre opere, di altri artisti. Angelo Casciello ha lavorato, in queste sale, anche nelle tarde ore del pomeriggio, quando le architetture, le cose e gli oggetti allungano la loro sagoma di ombra sulla terra e il giorno si fa preannuncio alla sera; ha disegnato e dipinto solo con il nero, con le ombre che esso lascia come bave, tracce che raccontano di una sofferta attesa, di qualcosa che, per giorni, ha velato di ansia e trepidazione la sua capacità d’impaginare il futuro. Ha saputo narrare la sua fragile condizione di fronte alla paura che è propria di chi attende con il fiato sospeso; l’ha saputa elevare, con leggerezza a condizione dello spirito, rinunziando alla gravità terrena del dolore. Questa grande pittura, questo specchio lucido nel quale è possibile scoprire ogni attimo del suo evolversi come racconto è posta in dialogo con tre piccole sculture che Angelo Casciello ha voluto inserire nel breve tracciato che raccorda tra loro le tre sale: sono corpi che scandiscono lo spazio posti come figure che interloquiscono con la superficie, oggettualizzando i segni, imprimendo ad essi la cifra di evidenze immaginative. Sono ‘figure’ che si rincorrono da sala a sala, tessendo, sulle pareti, una linea di continuità, accogliendo, ora, la vibrazione naturalistica lasciata dalla casualità, dalla goccia che si fa spina, dalla colatura volutamente accettata come segno di una scrittura inconscia, ora muovendo su elementi assunti a simboli che l’artista sorregge per mezzo di contrasti polari. La figura che, come un funambolo, sfugge oltre la linea alta della parete è ancora quella della natura, della terra della sua origine e che da sempre è il modello che si presta agli occhi di Angelo Casciello. “Per noi artisti – scriveva Gauguin – i modelli non sono che caratteri di stampa che aiutano a esprimerci. E c’è anche un pudore che diventa dovere e consiste nel non tradire la propria opera con una bellezza che non le appartiene”.

MASSIMO BIGNARDI, 2007

 

 

ANGELO CASCIELLO, BIOGRAFIA 

 Angelo Casciello nasce a Scafati (SA) nel 1957; frequenta l’Istituto d’Arte di Torre del Greco quale allievo di Renato Barisani, successivamente l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ove studia pittura con Domenico Spinosa. Sin da ragazzo manifesta un attenzione per il disegno, pratica della quale si serve per rappresentare figure che lo circondano: espressività preoccupate e malinconiche, mani callose e visi corrucciati sono i dati espressivi che cifrano questi primi fogli. La prima fase di formazione segnala una ricerca figurativa in cui l’artista appena ventenne, è attento a corpi e figure che invadono lo spazio del foglio: saranno poi gli stessi volumi prodotti nei grandi murales (1975), dal segno espressionista, filtrato attraverso le esperienze muraliste di Siqueiros e Orozco. La ricerca di Casciello continua spaziando tra pittura e scultura, recuperando elementi di memoria presi in prestito dal bacino della cultura mediterranea: si afferma, inizialmente, lavorando come scultore che esibisce nello spazio totem fatti di materiali tratti dall’ambiente rurale, creando degli assemblaggi di materiali e utensili (1977-1978). Il 1977 è anche l’anno della sua prima personale al Centro Sud Art di Scafati, alla quale segue nel 1979 quella alla Galleria Lucio Amelio di Napoli. Gli inizi degli anni Ottanta segnano il passaggio dalla storia (intesa quale descrizione dell’uomo e della sua terra), alla preistoria (riflessione sulle origini e sulla dimensione archetipica mediterranea), si inoltra nel recupero di un segno antropologico elaborando opere di notevole fascino pittorico. La prima metà del decennio Ottanta vede l’affermazione di una fase segnica, in cui l’artista crea simulacri, totem improntati da una cifra primitiva. Cromatismi scarni ed essenziali, permeati di vibrazioni profonde percorrono la tela e i piani scultorei in legno e carta, dove lo sguardo si posa e ritrova infine, la sua forza originaria: sono opere che hanno un fondo pagano e che riecheggiano i misteri trovati nelle rovine di Ercolano e di Pompei. Sono anche gli anni dell’esperienza dell’officina di Scafati, così come definita da Massimo Bignardi, che lo propone in gruppo con Luigi Vollaro, Franco Cipriano, Luigi Pagano, Gerardo Vangone e Angelo Casciello: artisti accomunati dalla volontà di tessere le fila di un comune tessuto antropologico. Nel 1985 presenta le sue opere all’Istituto di Cultura Italiano di Zagabria e l’anno successivo espone, con Gadaleta e Russi, alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Arezzo. Nel 1986 è invitato alla XI Quadriennale d’Arte di Roma ed alla XLII Biennale di Venezia; in questo stesso anno lavora alla ideazione e alla realizzazione  di interventi scultorei e ambientali, tradotti anni dopo in ferro che, nel decennio Novanta, diventa il suo nuovo medium operativo. Il suo lavoro sembra evolvere verso una destinazione fortemente sociale: tra questi si segnalano gli interventi e le installazioni per la Piazza di Sant’Antonio a Civitella d’Agliano (1986, con Silvio Wolf e Annamaria Santolini), l’opera Il luogo del Minotauro, installazione temporanea realizzata nel Palazzo del C.& A. a Marsiglia (1988), il progetto per un Planetario (1988, Mostra d’Oltremare di Napoli, insieme agli architetti G. Squillante e G. De Luca, con sculture di Renato Barisani e Annibale Oste), l’intero arredo per la Nuova Cappella di S. Maria di Realvalle in San Pietro di Scafati (1989), la scultura monolito Africa (1989) per l’African Dream Village, a Malindi (Kenya). Negli stessi anni è presente ad importanti rassegne d’arte nazionali ed internazionali, tra le quali vanno ricordate: Tendenze dell’arte Italiana negli anni Novanta, presso la Galleria D’arte Moderna di Zagabria (1987), Biennale Internazionale di Grafica in Lubiana (1987), Transport-Marsiglia-Barcellona-Napoli, presso la Ville Charitè a Marsiglia (1988), Premio Michetti a Francavilla a Mare (1989). Partecipa al progetto di congiungimento, con un itinerario di sculture di artisti di varie nazionalità, del vecchio centro di Lione con il Centro Direzionale della stessa città (1991), mentre l’anno successivo partecipa alla Biennale di Barcellona e, nel 1996 realizza una grande scultura La Porta del Vento per Ripe San Ginesio in provincia di Macerata. In questi anni Casciello lavora principalmente il ferro, che è, dice l’artista, per antonomasia una materia bellica ma che attraverso il processo creativo viene riscattata quale elemento poetico. Questo modo di significare l’utilizzo del metallo è avvalorato dalla mostra personale allestita nel 1998 nel Cortile d’Onore e nei Giardini di Palazzo Reale a Napoli. Nello stesso anno è presente alla IX Biennale Internazionale di Scultura Città di Carrara; nel 1999 partecipa al progetto ‘Non solo Trevi’ a Lamezia Terme, con l’opera La Fontana delle tre età; nel 2001 vince il concorso internazionale per la realizzazione di due grandi sculture per la Sala dell’Arengario del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli. Nel 2002 vince il concorso per la realizzazione di una scultura a dimensione urbana in occasione del 3° Premio Internazionale di Scultura Regione Piemonte e, nello stesso anno, gli viene conferito il Premio Scipione a Macerata. Nel 2005 partecipa alla mostra La Scultura Italiana del XX secolo presso la Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Nel 2006 viene invitato alla X Mostra Internazionale dell’Architettura-La Biennale di Venezia. Tra i concorsi pubblici nel 2002 vince quello nazionale per la realizzazione di due sculture per le caserme dei Vigili del Fuoco di Nocera Inferiore (Salerno) e Telese Terme (Benevento); del 2005 è la scultura Il Solitario per la piazza San Menna di Vitulano (Benevento) e, del 2006 le tre porte dell’Auditorium Parmenide della Fondazione Alario di Velia (Marina di Ascea). Nello steso anno realizza Il Luogo della Purificazione a S. Maria di Castellabate. Un percorso di esperienze nell’ambito urbano che si esplicita, nel 2009, con la realizzazione della stazione di Mugnano sulla linea Napoli-Giugliano-Aversa della Metro Campania Nord-Est, realizzata con l’architetto Riccardo Freda. Costante è l’impegno dell’artista nella sfera del sacro che lo ha visto tra gli artisti invitati, con una mostra personale, al IV Convegno Ecclesiale Nazionale tenutosi a Verona nel 2006, esponendo la Via Crucis realizzata per il Museo Stauros di Arte Sacra Contemporanea di Isola del Gran Sasso (Teramo). Nel settembre del 2009 è nominato da Papa Benedetto XVI, Membro Ordinario dell’Accademia delle Belle Arti al Pantheon. Del 2010 è la mostra antologica dedicata al disegno e ai progetti di scultura (maquettes in carta, argilla e latta) organizzata e ospitata dal Museo-Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi; nell’estate del 2011 gli viene assegnato, a Francavilla a Mare, il 61° Premio Michetti. Dello stesso anno è la partecipazione alla 54 Biennale Internazionale di Venezia nel Padiglione Italia.   

 

 

 

MarcianoArte, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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